mercoledì 9 novembre 2011

Varie 2011 - il pianoforte non è il mio forte

Dubstep, 2-step, drum n' bass, sono tutti nomi che mi hanno fratturato l'apparecchiatura testicolare. Così non dovrebbe essere assolutamente una sorpresa se il nuovo album dello stupefacente Martyn, Ghost People (Brainfeeder, 2011, voto 1.9) sia per me uno scoglionamento d'altri tempi. Un tizio che mette su una cazzo di base al computer ed aggiunge, senza variare mai dinamiche, della roba sopra al beat con tastierina da house anni '90. Yeeeah! Ma anche no. Se sei dentro un club e passano questa musica, e (soprattutto) sei strafatto di MD, se ne può discutere. La gente dei fottuti giornali che sta a casa sua a sentire sta merda e poi dice: "wow, che artista, ma che bravo, che originale, pensa: ha aggiunto della merda ad un beat creato col computer" veramente va aldilà della mia comprensione. Che si fotta.

Molto meglio i The Answer, nuovi paladini dell'hard rock nordirlandese, con la loro terza prova - opportunamente titolata Revival (Spinefarm, 2011, voto 6.8) - guidati da Cormac Neeson, misto perfetto di Axl Rose e Jon Bon Jovi.
I ragazzi sono bravi, e sono sicuro che vederli dal vivo sarà una figata, ma registrare un disco al livello di Appetite For Destruction o persino Slippery When Wet è un'altra cosa. Per prima cosa, la band non ti deve fare costantemente pensare a mille band dello stesso genere ma che ami di più.
Come seconda cosa, è fondamentale avere una personalità propria, definita, smaccata... avere un cantante che, per quanto bravo, sostanzialmente sembra un'imitazione di altri, decisamente più famosi non aiuta in questo senso. 
Terza ed ultima cosa: ci vogliono pezzi di lusso. Pezzi che la gente non dimenticherà mai. Pezzi con i quali farà l'amore, farà la dichiarazione alla tipa, festeggerà i grandi momenti sportivi, pezzi che canterà davanti al falò d'estate... insomma, quella roba lì.
Ed è un peccato che queste tre cose gli manchino, perchè sono sinceramente bravi.
Ben altra connotazione assume il termine "brava" affiancato alla deliziosa Madeleine Peyroux, che con il suo andare jazzato ci regala Standing On The Rooftoop (Decca, 2011, voto 7.5), splendida sorpresa per me, uomo dal sacco scrotale ormai gonfio di donne che invece che voler essere sè stesse cercano di essere "la nuova Beyonce", "la nuova Aretha", "la nuova Norah Jones", "la nuova Winehouse" e via discorrendo. Ospiti di lusso come l'onnipresente Ribot (cristo santo, l'ho sentito in 5/6 dischi solo questo mese), Me'shell Ndegeocello al basso e Bill Wyman, che non contribuisce materialmente ma scrivendo due pezzi, uno dei quali lo stupendo The One You Can't Afford, che sembra uscito direttamente dall'armadio di Curtis Mayfield. In mezzo agli originali della Peyroux, fatti di gradevole crooning (migliore quando in fase di sorriso, talvolta noioso in fase tragica) troviamo una cover dei Beatles, una di Ribot, una di Dylan ed una Love in Vain in versione apocalittica che sinceramente non ho ben capito. L'album è molto buono, gradevole, scivola via con la affascinante voce della Peyroux in maniera nient'affatto pesante ed è molto meglio di taaanta roba che troverete in giro. Give it a try.
Infine abbiamo il cognato di Madonna, che non è il fratello di S. Giuseppe di Bethlemme ma il buon Joe Henry con il suo Reverie (ANTI-, 2011, voto 6.2). Joe è il tizio che ha scritto per la Ciccone una delle pochissime canzoni decenti degli ultimi vent'anni di carriera, la Don't Tell Me che ricorderete per il video del cazzo con il cappello da cowboy. Diobbuono, c'hai centotrentanni e sei ridotta una chiavica, ma finiscila di fare ste cose. Vabbuò, comunque, dicevamo? Ah, già, Giuseppe di Bethlemme. Giuseppe di Bethlemme ci parla del tempo, il tempo che passa suppongo, anche se avrei perferito parlasse del meteo. Wow, che argomento originale, Joe, sei il primo ad averci pensato. Un'ora quasi completamente acustica, tra blues senza blue e jazz senza swing... diciamo che me la sarei risparmiata, seppur non sgradevole. Per potersi permettere arrangiamenti all'osso come questi ci vuole ben altro che la voce nasale del buon Joe, ed infatti i momenti migliori sono quelli in cui l'arrangiamento è un minimo più ricco, come in Sticks & Stones, nella quale troviamo ospite una non meglio precisata baldracca.

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