Alla casella "sacrosante certezze", nel panorama musicale del nuovo
millennio, ci sono sempre stati nel mio diario Mark Lanegan
e i Calibro 35. Concederò, come i più arguti non
mancheranno di sottolineare, che sono artisti di tenore e spessore
internazionale diverso: beh, Lanegan è stato tra i guru della odiata e
piovosa Seattle che ha regnato incontrastata per i primi 5 anni dei
'90... concedo, concedo, ci mancherebbe altro.
Non mancherò di sottolineare io, però, che le due certezze sono
senz'altro di tenore diverso: Lanegan, certamente, pubblica album
esaltati dai critici in ogni dove, competentissimi ed in gamba come
rincoglioniti e incapaci; nel caso specifico parliamo di Blues Funeral (4AD,
2012 Voto:
7,1), inevitabilmente, l'album mi piacerà senza
esaltarmi, è una dannata certezza. Accompagnato dal fido Alain
Johannes, Lanegan invoca Muddy Waters, professandosene schiavo, ma del
Blues del titolo resta solo il funerale (sempre nel titolo, guarda tu
le coincidenze): una pletora di drum machines e synth ed un cielo
plumbeo degno del sopracitato funerale, ma
assolutamente privo di blues. Ci troviamo persino una Ode to
Sad Disco, perdio!
"The blues ain't nothin' but a good man feelin' bad, thinkin'
'bout the woman he once was with", diceva qualcuno; qui non
ci sono good man, non si feel bad proprio nessuno, e non c'è nessuna
woman a cui pensare a parte Isobel Campbell, ma mica tanto, cioè, chi
cazzo se ne fotte della Campbell? E da dove vengo io, you
don't blow no harp, you don't get no pussy. Texture su
texture su texture: molto atmosferico ma, appunto per questo, sembra
sempre sia sul punto di esplodere, esplosione che, fatta eccezione per
l'introduttiva The Gravedigger's Song, non avviene
mai.
Non fraintendetemi: è un album di buon livello, come accade sempre con
Lanegan. Accade sempre, altresì, che non sia un capolavoro, per quanto
concerne chi vi scrive. Sarà che ammemepiaceobblus.
L'altra certezza, i Calibro 35, accostata al
poderoso ed altisonante nome di Lanegan, mi procurerà non poche
inimicizie, ne sono sicuro... ma STI GRAN CAZZI. Questi ragazzacci sono ormai al terzo album nel quale ripescano da una osannata tradizione italiana, quella del filmaccio anni '70, possibilmente "poliziottesco". Se dal punto di vista cinematografico con l'osanna costante e ripetuto da parte della critica (e di Quentin Tarantino, mavabbè) si è un po' perso il reale valore di quei film (più di quello che si diceva un tempo, molto meno di quello che si dice adesso), dal punto vista musicale non si è mai elogiato a sufficienza lo splendido lavoro fatto dai vari Trovajoli, Micalizzi, Umiliani, Morricone, Piccione, Bacalov, Manuel De Sica, Stelvio Cipriani, Guido e Maurizio De Angelis e così via discorrendo.
Caratterizzato come sempre dal livello tecnico superiore che era tipico dei due dischi precedenti (e dei maestri di riferimento), stavolta abbiamo un campionario di pezzi originali (fatta eccezione per Passeggeri Nel Tempo del maestro Ennio Morricone e New York New York di Piero Piccioni) di Gabrielli e soci che non ha nulla da invidiare a quanto di meglio il filone abbia mai offerto.
Un misto di jazz, lounge, funk e quant'altro, Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale (Venus, 2012 Voto: 8,3), è un ennesimo lavoro SPLENDIDO nella discografia dei Calibro 35, che non vedo l'ora di rivedere dal vivo.
Che sia il surf-funk-rock di Uh Ah Brrr, o il funkettone di Arrivederci e Grazie, o, ancora, la swingata Buone Notizie, i Calibro hanno fatto nuovamente centro, alla grandissima, non se ne dispiacciano i fan del buon Lanegan.
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