sabato 22 ottobre 2011

Ry Cooder - Pull Up Some Dust and Sit Down (Nonesuch, 2011)

Ho sempre molto stimato Ry Cooder. L'ho sempre ritenuto uno dei chitarristi migliori della storia: brillante, eclettico, feroce, fottutamente blues, ma allo stesso tempo capace di essere a suo perfetto agio, anzi addirittura leader sicuro e fiero, in mezzo ai novantenni cubani orgogliosi del Buena Vista Social Club. Quindi, vedere le recensioni entusiaste, addirittura spesso estasiate per questo suo nuovo lavoro mi ha fatto correre a... ehr... comprarlo.

Ascoltandolo per la prima volta per le vie di Barcelona mi sono convinto che chi lo esaltava avesse la testa su per il culo. Ma che diavolo è sta roba? Tex mex? Imitazioni di John Lee Hooker? Marcette da guerra di secessione? Mah.

Allo stesso tempo, i feroci testi che affrontano la situazione dell'occidente del mondo, dall'odio contro i banchieri alla sfiducia contro le istituzioni, dalla guerra alla crisi, e il lavoro di chitarra sempre magistrale di Cooder mi hanno inconsciamente convinto a non abbandonarne l'ascolto; e ad ogni ascolto successivo il gradimento è salito, salito, salito... fino a che adesso - sono al decimo ascolto in due settimane - ne adoro ogni fottuto passaggio.

Tutto lo scibile della musica tipicamente nordamericana viene qui raccolto, sfruttato, citato, tirato a lucido per raccontare la merda che stiamo mangiando, affrontando nello specifico il punto di vista americano. Qui il country, il norteño, il blues, il southern rock, il folk, il boogie, l'AOR... tutti al loro massimo splendore, si fondono in un dannato spettacolo di altri tempi, un capolavoro che ad ogni ascolto sembra migliore. La devastante Baby Joined The Army, oscuro blues sulla guerra o la delicata ballata country No Hard Feelings, pesante accusa ai governanti, sono gemme sia di satira politica sia di musica, così come la brillante imitazione di John Lee Hooker (a tratti disarmante nella sua perfezione, ma sulle doti tecniche di Cooder non possono esistere dubbi) che lo vede seduto sul trono della Casa Bianca ad enunciare il suo programma politico fatto di groove, scotch e bourbon (John Lee Hooker For President).

Sono certo che quest'album non se lo cagherà di striscio nessuno, del resto qui nessuno ha il boyfriend che sembra una girlfriend e uacciu uacciu uacciu, nè un taglio di capelli alla moda. Ma, per quanto mi riguarda, è davvero uno dei più incredibili dischi dell'anno. Ry Cooder for president.
Voto: 9.0

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